Dopo alcuni mesi di silenzio, riprendo il filo in questo Topic con il quale avevo inteso tentare di proporre alcune personali riflessioni attorno a dei temi che, nell'ambito della passione che nutro da sempre per la storia delle origini del cristianesimo, mi sono costantemente parsi centrali e propedeuticamente fondanti per una ricerca desiderosa di ricostruire un quadro degli eventi il piu plausibile fra quelli
storicamente possibili.
Avendo largamente utilizzato, fin dal titolo stesso del Topic, alcune considerazioni del prof Giorgio Jossa che mi erano parse particolarmente significative e per certi tratti emblematicamente illuminanti, per supportare alcune mie idee su quelli che reputo essere degli snodi assolutamente critici per la migliore definizione del quadro storiografico nel quale la vicenda gesuana si è sviluppata, sono rimasto colpito qualche giorno fa da un breve testo messo in rete dalla Diocesi di Pistoia che pur non presentando necessariamente particolari spunti di originalità (nel senso che i suoi contenuti sono abbastanza comuni a molte precedenti consolidate riflessioni di parte cattolica) mi è sembrato pertinente esempio di come possa essere difficile superare alcuni evidenti ostacoli metodologici (per non dire ideologici) che a mio parere erano argutamente segnalati e biasimati da Jossa, il quale, ironia della sorte, viene citato dall' autore di questo documento in modo diametralmente opposto a quanto da me fatto e con modalità che che mi dembrano francamente non congrue al pensiero dello stesso professore.
L' autore di questa riflessione il cui titolo forte "Il cristianesimo ha tradito Gesù?" riprende giustamente il titolo del libro di Jossa edito da Carocci nel 2008, è Monsignor Giordano Frosini (Serravalle Pistoiese, 4 giugno 1927) presbitero italiano che è stato vicario generale della Diocesi di Pistoia sino al 2008.
Egli si occupa di teologia morale ed ha pubblicato numerosi volumi sulla teologia e sulla politica. È docente di Teologia sistematica nella Facoltà teologica dell'Italia centrale. Collabora a riviste scientifiche, periodici e giornali fra cui Famiglia Cristiana e La Vita, di cui è direttore-responsabile.
(per ulteriori notizie biografiche e bibliografiche su di lui vedi
http://it.wikipedia.org/wiki/Giordano_Frosini da cui sono tratti anche gli elementi biografici che ho testè indicato)
Il testo in pdf dell' intervento è reperibile qui
http://www.diocesipistoia.it/public/Il%20c...dito%20Gesu.pdfPer comodità di lettura lo ripropongo direttamente a seguire nella sua integrità:
"Insieme all’ateismo, la negazione della continuità sostanziale fra il Cristo della fede (quello che ci è
stato insegnato e fa parte da sempre della fede della chiesa) e il Gesù della storia (quello che è
descritto dagli stessi vangeli letti con la massima attenzione) rimane forse il problema fondamentale
che angustia oggi la riflessione teologica e la chiesa stessa. Questa negazione sarebbe una ferita grave
inferta alla fede cristiana. In Italia il problema, specialmente per opera di alcuni pubblicisti e di certi
mezzi di comunicazione sociale è arrivato a livello popolare. Né la teologia in quanto tale né
l’evangelizzazione si possono permettere di ignorarlo. Una questione che ci insegue da lontano (dalla
“vecchia ricerca” si è passati negli anni ’50 alla “nuova ricerca” e successivamente, dagli anni ’80, alla
“terza ricerca”) e che risorge oggi con nuovi argomenti e maggiore “vis polemica”. L’Inchiesta sul
cristianesimo di C. Augias e R. Cacitti porta il significativo sottotitolo: “Come si costruisce una
religione”.
Le parole iniziali di quel testo pongono molto bene l’argomento. Quante cose non ha detto Gesù, che
pure formano l’intelaiatura fondamentale della religione cristiana. Questa non nasce da Gesù, ma dalla
comunità cristiana, in particolare da alcuni suoi rappresentanti, come i quattro evangelisti e
soprattutto da Paolo di Tarso, non da ora e non solo da questi divulgatori, considerato come il vero
fondatore del cristianesimo. Una questione complessa che non possiamo trattare distesamente in questa
sede, ma che merita tutta la nostra attenzione e richiede una adeguata preparazione specialmente da
parte di coloro che hanno nella comunità il carisma e l’ufficio dell’insegnamento. Una delle nuove
frontiere dell’apologetica cristiana.
Si tratta, come si diceva prima, di un colpo micidiale condotto all’intero edificio della religione
cristiana. Costruita, come abbiamo appena sentito, per mani d’uomo e non di qualcuno inviato
direttamente da Dio.
La complessità della materia (ne sono coinvolti i problemi dell’origine dei vangeli canonici, del
valore dei cosiddetti vangeli apocrifi, del pensiero dell’apostolo Paolo, della possibilità o meno di
raggiungere attraverso i documenti da noi posseduti il Gesù della storia, del passaggio dalla religione di
Gesù alla religione su Gesù…) necessita di una lunga e meticolosa trattazione.
E’ innegabile che esista un passaggio dall’atteggiamento della prima comunità cristiana prima della
risurrezione a quello posteriore. Si è detto per questo che il cristianesimo è nato due volte: la prima con
la predicazione e l’opera di Gesù di Nazaret (una testimonianza resa in particolare dai quattro vangeli,
specialmente quelli cosiddetti sinottici), la seconda con la risurrezione del Signore. Già l’apostolo
Pietro, proprio nel discorso della pentecoste si esprimeva in questa maniera. “Sappia dunque con
certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete
crocifisso”. Ora l’oggetto della predicazione apostolica non sarà solo l’insegnamento di Gesù terreno,
ma la stessa persona di Gesù risorto e glorioso. Una discontinuità, non c’è dubbio. Ma l’analisi attenta
dei testi canonici, non soltanto da oggi, dimostra che la discontinuità si inserisce saldamente all’interno
di una continuità sostanziale. Tutta l’esistenza di Gesù che precede la risurrezione è riletta dalla chiesa
delle origini e riletta in forma nuova, alla luce di quanto la pasqua ha portato di nuovo nella mentalità
dei primi cristiani. Di questo passaggio tratta con chiarezza il documento conciliare Dei Verbum,
quando parla dell’origine dei vangeli (cf. n. 19). Il biblista laico Jossa, professore universitario di storia
del cristianesimo, conclude la sua analisi sui quattro vangeli con questa frase: “L’interpretazione della
figura di Gesù di Marco, Luca, Matteo e Giovanni, che diventerà abbastanza rapidamente
l’interpretazione canonica è interamente fondata sul paradosso che il Cristo della fede della comunità
cristiana è proprio il Gesù terreno conosciuto dai suoi discepoli”.
La stessa conclusione vale anche per quanto riguarda l’apporto di Paolo di Tarso allo sviluppo della
chiesa e della predicazione cristiana. Paolo non è l’inventore del cristianesimo, ma il suo
sistematizzatore, il grande teologo che esprime in modo ordinato e approfondito le verità comunicate
dal Gesù terreno, ricevute anche direttamente nella sua personale rivelazione e nate nel confronto con
“le colonne” della chiesa. Lo stesso Paolo dimostra implicitamente almeno che la fede in Gesù Figlio di
Dio, incarnatosi per la nostra salvezza è a lui anteriore: si pensi, per es., all’inno cristologico della
lettera ai Filippesi (2, 4-11), che Paolo ha ascoltato nelle comunità cristiane del tempo che lui
frequentava.
Il predicatore e il catechista di oggi possono stare tranquilli, sicuri che il Cristo della fede è proprio
il Gesù terreno, il Gesù della storia. Una convinzione già espressa nell’espressione di sempre: “Gesù è il
Cristo”. La discontinuità rispetta la continuità."
Giordano FrosiniSono molte le considerazioni che una riflessione del genere può ingenerare.
Colpisce l'asprezza di fondo e il solito richiamo diretto all'ateismo che, insieme alla negazione della continuità sostanziale fra il Cristo della fede e il Gesù della storia, viene etichettato quale " problema fondamentale che angustia oggi la riflessione teologica e la chiesa stessa"
Non si puo non denotare la persistente avvilente incapacità da parte della Chiesa cattolica (o quantomeno di suoi rappresentanti ufficialmente investiti di ruoli istituzionali, didattici e formativi) di percepire anche solo la possibilità che possano coesistere a latere di un' etica religiosa cattolica precostituita e privata, delle strutture etiche altre concepite da un' umanità eventualmente libera di rifiutare quella presunta verita di fede e che voglia e sappia coscientemente costruire un percorso etico assolutamente equivalente, se non potenzialmente superiore.
L'ateismo sprezzantamente richiamato quale una categoria nefasta a causa di un' ineluttabile ed inaccettabile superoggettivazione di un assunto fideistico che non si riesce, come sarebbe giusto ed auspicabile, a contenere nell 'ambito di una comunità che lo sceglie liberamente, ma che si cerca in tutti i modi di imporre, inoculare, nel tessuto sociale generale, con un malinteso senso di "missione divina" che agli occhi di chi non crede a quell 'assunto, risulta a dir poco antipatico.
L' ateismo che a volerla dire tutta, non è di per se neppure una categoria specifica, ma che è una mera speculazione semantica di un gruppo di potere che per elevare illeggittimamente una propria personale (e discutibile) visione del mondo a Verità assoluta, ha bisogno di cristallizzare tutto quello che non rientra in quella Visione/Miraggio in una mistificata e mistificante dimensione negativa e malefica.
Su queste basi non puo meravigliare, e ne va anzi considerata una logica conseguenza, l'acritica pervicacia con la quale si continua ad operare e proporre una discutibile lettura del fatto storiografico.
Riaffermo con forza che la vicenda gesuana e le sue problematiche storico-fattuali, spogliate delle inferenze fideistiche che possono fare capo solo a chi tale fede vuole vedervi, appartiene "banalmente" come qualunque vicenda umana al magmatico flusso della storia ed in quanto tale va approfondita, evitando rigorosamente, nel tentativo di indagarla, di associarle precostituiti e deferenti significati di parte.
Mi pare evidente che un' indagine scientifica che voglia tentare di ricostruire il complesso mosaico della vicenda gesuana debba preventivamente assumere come ipotesi di base che la resurrezione (e quindi la conseguente trascendenza) dell' incognita (Gesù) sia da escludere senza mezzi termini.
L' impostazione che si da al problema costituisce un topos logico dal quale dipenderanno ineluttabilmente i possibili esiti dell' indagine. Ogni cedimento che conceda spazio ad un' ipotesi inclusiva del "dato" trascendente non può che informare/deformare il quadro sogetto all' indagine storiografica, inferendo nei dati analizzati un' indebita significazione che altera (rende altro) il dato stesso e il suo corretto posizionamento nel mosaico generale.
Ovviamente quando parlo dell' inammissibilità della resurrezione come "dato" trascendente, mi riferisco alla stessa quale evento oggettivo, fatto
realmente accaduto.
Altra cosa è l'eventuale percezione soggettiva di essa da parte di un singolo o di un gruppo di individui.
Questa che, da verifica delle fonti in nostro possesso, ha buone possibilità di aver avuto luogo e tempo, costituirebbe un dato storico ineludibile, da inserire e del quale tenere la giusta considerazione nel processo di ricostruzione generale.
Insomma, quello che s' impone ad un' indagine storiograficamente congrua è, a mio avviso, la chiara premessa che l'uomo Gesù, del quale stiamo provando a ricostruire la reale identità storica, sia vissuto, sia morto ma che non sia resuscitato se non, eventualmente, attraverso una successiva rielaborazione mistica a sua volta derivante da una spontanea (?) serie di visioni personali, probabilmente indotte da particolari e specifici (ma non unici nel genere) stati (alterati) di coscienza.
E non parlo casualmente di
ri-elaborazione in quanto penso che la
successiva tradizione orale consolidatasi che poi darà luogo ad una
tardiva redazione scritta, costituirebbe una seconda elaborazione su un piano cosciente/razionale di quella prima elaborazione inconscia/irrazionale che aveva
probabilmente fatto scaturire le visioni originali del "risorto".
Solo se si rispettano rigorosamente tali premesse di base si puo "contenere" l'indagine nel perimetro di una corretta ricerca storiografica. Nel caso contrario si dovrebbe, per converso, ipotizzare, attraverso l'accettazione della "resurrezione" quale fatto oggettivo, l' inedita e singolare rottura drammatica di quel perimetro ed il conseguente ingresso della trascendenza, fin qui postulata quale pura e particolare forma di estrinsecazione dell' umana interiorita, nel "mondo reale".
Ed ovviamente in questo caso non avrebbe più senso ragionare in termini storiografici canonici, dato che la storia, cosi come l' abbiamo sempre ragionevolmente intesa in termini antropologici , risulterebbe definitivamente inglobata in una realtà superiore (?) di natura teologica. Paradossalmente, ma relisticamente, anche un "ateo" come me dovrebbe accettare, di fronte ad un' evidenza, che la Teologia sarebbe la categoria principe della Storia ed ogni visione puramente antropologica ne costituirebbe una subordinata, interessante ma
assolutamente dipendente.
Dio (ma quale?) sarebbe immanenza e bisognerebbe, data la nostra limitata ma comunque indiscutibile capacita raziocinante coniugata all' ancor più importante autocoscienza che ci contraddistingue, rifondare tragicamente le nostre piu profonde impostazioni mentali e reimpostare filosoficamente il nostro stesso approccio alla realtà sensibile che ci circonda e ci pervade.
Ma per quanto è dato sapere non siamo, al momento, in questa situazione. Si parla giustamente di rivelazione divina (e non solo in ambito cristiano) che, come la parola stessa indica, rimanda ad una presunta volontà di una presunta divinità di
ri-velare la realtà profonda del mondo sensibile (il suo senso primo ed ultimo, se ce n'è uno), cioè di celare volutamente una realtà gia ignota e sfuggente, rafforzando per motivi insondabili, quel
velo che ce ne impedirebbe la piena visione.
Si potrebbe paradossalmente dire che cio che l' uomo tenta di s-velare servendosi delle proprie limitate ma spesso brillanti capacità cognitive, viene prontamente ri-velato da una presunta divinità che, per motivi che non ci è dato conoscere, si adopera perchè non si riesca a stracciare quel velo. Ovviamente un "ateo" come me rivendica il diritto di pensare che, in verità, la conoscibilità e la possibilita di investigare i fenomeni sensibili (ivi compresa la nostra storia passata) non siano soggetti a Ri-velazioni di presunte divinità ma siano liberamente perseguibili in funzione delle singole capacità, laddove quelle fuorvianti Ri-velazioni, fino a prova contraria, fondano la loro raison d'etre in discutibili processi di assolutizzazione di personali convinzioni di specifici gruppi di uomini e donne che, travalicando il confine della legittima adesione individuale, sono giunti e giungono ancora spesso ad invadere lo spazio di libertà altrui nel tentativo arrogante di egemonizzare sulla base di quelle indimostrate credenze la visione generale e particolare del mondo.
Mi sembra evidente che quanto detto possa spiegare lo spirito di fondo della riflessione di Giordano Frosini che partendo proprio da basi apologetiche (da lui stesso dichiarate) mantiene la pretesa di indicare vie maestre da percorrere nella corretta identificazione del Gesù della Storia, lasciando trasparire un malcelato fastidio per il fatto che "in Italia il problema ( la negazione della continuità sostanziale fra il Cristo della fede che ci è stato insegnato e fa parte da sempre della fede della chiesa e il Gesù della storia), specialmente per opera di alcuni pubblicisti e di certi mezzi di comunicazione sociale è arrivato a livello popolare"
Questa visione, secondo me distorta e pregiudiziale lo porta a denigrare sostanzialmente la ricerca storica del passato e a considerare iniziative come quelle di Augias/Cacitti non come delle interessanti e comunque stimolanti tentativi di porgere al grande pubblico le complesse tematiche sottese alla reale vicenda storica gesuana ma quali pericolosi epigoni di quella nefasta tradizione di ricerca storica "che risorge oggi con nuovi argomenti e maggiore vis polemica”.
Tutto questo, mi sembra di capire, nell' ottica dell 'autore, a detrimento di una verità rivelata che l' "Apologetica Cristiana" si deve di difendere nei modi opportuni (anche a costo, chiedo io, di ritornare, qualora fosse possibile, ad una più comoda strategia del silenzio?)
Quanto segue nell 'intervento dell 'autore è frutto di questo palese malessere e trova la sua massima espressione in un tentativo vago ma fermo di confermare a chi lo legge, ed in particolare agli operatori interni ("Il predicatore e il catechista") che "il Cristo della fede è proprio il Gesù terreno, il Gesù della storia. Una convinzione già espressa nell’espressione di sempre: “Gesù è il Cristo”. La discontinuità rispetta la continuità."
A sostegno del quale peraltro cita (senza riferimenti chiari) addirittura "il biblista laico Jossa, professore universitario di storia
del cristianesimo, che conclude la sua analisi sui quattro vangeli con questa frase:
“L’interpretazione della figura di Gesù di Marco, Luca, Matteo e Giovanni, che diventerà abbastanza rapidamente l’interpretazione canonica è interamente fondata sul paradosso che il Cristo della fede della comunità cristiana è proprio il Gesù terreno conosciuto dai suoi discepoli”.
Citazione che oltre ad essere colpevolmente avulsa da contesto di appartenenza, mi appare maldestra poichè a volerla leggere attentamente, soprattutto in quel precisare da parte di Jossa che l'equivalenza fra il Cristo della fede della comunità cristiana ed il Gesù terreno conosciuto dai suoi discepoli
sia interamente fondato su un paradosso espressamente voluto dall' interpretazione canonica succesiva, pare sollecitare indicazioni decisamente antitetiche a quelle che Frosini vuole cogliervi.
D'altra parte e per amor del vero colgo l 'occasione di riportare quanto realmente riportato nel sito di Giorgio Jossa a proposito del suo volume
Il Cristianesimo ha tradito Gesù?, Roma, Carocci, 2008.http://www.giorgiojossa.it/index_file/Ilcr...atradioGesu.htm"I vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni sono una interpretazione di fede della persona di Gesù. E la formazione del canone del Nuovo Testamento è frutto di una scelta teologica della Chiesa. Ma il Gesù storico non corrisponde semplicemente al Cristo dei vangeli canonici. Gesù non era un cristiano, ma un giudeo. Non può essere quindi realmente compreso se non all'interno della tradizione giudaica. L'immagine di Gesù trasmessa dai vangeli apocrifi (di Tommaso, di Pietro, di Giuda) non può avere la stessa attendibilità di quella dei vangeli canonici? In realtà elementi di conflitto di Gesù col giudaismo del suo tempo ci sono stati. E i vangeli canonici non perdono il legame col Gesù storico. Per tutti e quattro gli evangelisti il Cristo della fede è proprio il Gesù terreno. Riconoscendosi in questi vangeli la Chiesa ha fatto una scelta non storica, ma teologica, ritenendo che la loro interpretazione rispecchiasse nella maniera più autentica la figura e l'insegnamento di Gesù."Credo ci siano pochi commenti da fare, se non che è comprensibile che quando ci si arrocca su posizioni dichiaratamente apologetiche nei riguardi di una lettura dogmatica e fideistica di eventi umani, tanto più quanto l'oggetto di quei dogmi e di quella fede abbiano una "azzardata consistenza metafisica", diventa inevitabile operare (spesso anche con e per "buona fede") dei rimodellamenti forzosi e forzati di una miriade di aspetti che presi nella loro essenza originale rischierebbero di minare seriamente le basi più importanti delle proprie convinzioni.
O che, per utilizzare le parole stesse di Frosini, risulterebbero "un colpo micidiale condotto all’intero edificio della religione cristiana. Costruita, come abbiamo appena sentito, per mani d’uomo e non di qualcuno inviato direttamente da Dio"
Buona serata
jehoudda