Studi sul Cristianesimo Primitivo

Il Cristo storico, il Gesù della fede ed una "coraggiosa" riflessione del prof Jossa

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jehoudda
view post Posted on 16/8/2010, 21:45 by: jehoudda     +1   -1

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Scrivevo nei giorni scorsi in questa discussione (stralcio qualche passaggio):


Ho voluto riportare la riflessione del prof Jossa in quanto mi è sembrata mettere in rilievo con la giusta enfasi (e naturalmente con la sua personale autorevolezza) questa debolezza intrinseca dello stato della ricerca.
Credo che i giudizi espressi in tempi peraltro estremamente recenti rendano chiara l 'idea che anche nel campo degli specialisti più accreditati vi siano studiosi che avvertono, e anche in maniera non marginale, che una certa tendenza a ricondurre costantemente la ricerca storica sul Cristo Storico al meglio conosciuto Gesù della fede,
si sia rivelata assolutamente deludente ed in ogni caso non abbia aggiunto nulla di fondamentale alla conoscenza del reale personaggio che si cela dietro quella complessa e alterata icona metafisica.

Faccio notare peraltro che il prof Jossa sembra puntare la sua critica soprattutto sul panorama specialistico italiano,

Il primo è che, con poche eccezioni, esso è rimasto, soprattutto in Italia, nei confini un po’ angusti del dibattito teologico accademico. Oggetto di dotte, e acute, discussioni nelle Università ecclesiastiche, quasi mai ha superato questi limiti per rivolgersi anche all ‘uomo di cultura curioso di conoscere

ma in realtà si evince chiaramente dal seguito del suo intervento che il suo giudizio è a ben più largo spettro, e non è un caso che, a testimonianza di quella che egli vede quale una chiara autoreferenzialità della ricerca incapace di uscire dallo schema asfittico sopra descritto, egli citi l' opera meno recente di un gesuita francese e il più recente lavoro di uno studioso neozelandese che per decenni ha lavorato all'Università di Cambridge (fino alla morte sopraggiunta l'anno scorso all'età di 69 anni)

Il prof Jossa con le sue riflessioni indicava come un ‘uomo di cultura curioso di conoscere e comprendere meglio questi testi (mi sento tale) non abbia, a causa di questa asfittica impostazione degli studi, soprattutto in Italia (ma non solo in Italia), potuto avvalersi di un valido quadro storico della questione
Con la conseguenza che:


La distinzione, fondamentale per essi, tra resoconto storico e testimonianza di fede, tra Gesù della storia e Cristo dei Vangeli, è in particolare quasi completamente ignorata.

ecco perchè, ripeto, Jossa sostiene giustamente che

con poche eccezioni, esso ["Il tema della “verità” dei Vangeli ] è rimasto, soprattutto in Italia, nei confini un po’ angusti del dibattito teologico accademico. Oggetto di dotte, e acute, discussioni nelle Università ecclesiastiche, quasi mai ha superato questi limiti

e attacca anche quelle poche eccezioni sostenendo che anche nei pochi casi in cui questo tentativo di raggiungere un pubblico più vasto di lettori è stato fatto

esso rivela quasi sempre una intenzione apologetica. Scritti da esegeti e teologi preoccupati di difendere la credibilità della tradizione cristiana, i pochi libri di questo genere, per quanto informati e moderni essi appaiano, mostrano abbastanza chiaramente l’intenzione (alcuni dicono addirittura: l’ossessione) di salvare la storicità sostanziale dei Vangeli o, per usare fin da adesso i termini che diverranno più chiari nel prosieguo dell’esposizione, di affermare una precisa continuità tra il Gesù della storia e il Cristo dei Vangeli.

E’ infatti un dato di fatto insieme triste ed inquietante, di cui Chiesa cattolica e intellettuali laici portano congiuntamente la responsabilità, che i Vangeli sono in Italia molto poco conosciuti e quasi per nulla compresi. La distinzione, fondamentale per essi, tra resoconto storico e testimonianza di fede, tra Gesù della storia e Cristo dei Vangeli, è in particolare quasi completamente ignorata

Il prof Jossa, in particolare, concludeva l'analisi del volume del reputato studioso accademico di Cambridge, Graham Stanton, sostenendo che, dopo aver un po' "tradito" le intenzioni iniziali orienta la sua esposizione

E in tal modo questa “verità del Vangelo” rischia di essere ricondotta nuovamente alla verità storica."

Sto seguendo in parallelo con grande interesse la discussione che nella sezione Paleografia, Papirologia, Critica Testuale ed Esegesi del NT l'utente chimofafà ha aperto sotto il titolo Gv 1,18 Gesù e Dio

https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=49761487

soprattutto in merito alle questioni metodologiche e criteriologiche discusse con lino85 negli ultimissimi post.
Non nascondo che condivido molte delle idee avanzate da chimofafà e
credo che alcune delle riflessioni che ho prodotto in questa discussione possano "convergere" su certi punti specifici con alcune sue conclusioni.
Mi farebbe piacere un suo personale intervento in questa discussione che ho inteso dedicare proprio alla delicata questione del rapporto fra quelli che io chiamo il Cristo della storia e il Gesù della fede (con una voluta non casuale inversione rispetto alla nomenclatura più classica...)
In ogni caso mi riprometto di riprendere anche qui alcune delle sue riflessioni dalle quali sono stato maggiormente colpito.


Ciò detto, e sempre in relazione a quanto riportavo in citazione di una valutazione così definita e forte del prof Jossa, mi sembra istruttivo citare in extenso un interessantissimo ed emblematico articolo pubblicato dall’Osservatore romano dell’11-12 febbraio 2008.che, riprendeva ampi stralci dell'intervento tenuto l'8 febbraio a Barcellona dall'arcivescovo segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede S.Ecc.mons.Angelo Amato, alle Giornate per le questioni pastorali del Centro Sacerdotale Montalegre.

(Per chi volesse qualche notizia in più sull' Arcivescovo Angelo Amato si veda questo articolo di di Sandro Magister tratto da Repubblica del 2.1.2003)

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/6898

Credo che questa autorevole riflessione sia molto pertinente ai contenuti che ho cercato di introdurre in questa mia discussione e toccando molti degli elementi da me riportati può essere utile a stimolare ulteriori riflessioni.
Io stesso mi riservo, in seconda battuta, di esprimere alcuni commenti che questo intervento mi ha ispirato.

Per correttezza segnalo che l'origine di questo testo è qui

www.gliscritti.it/approf/2008/papers/amato280308.htm

(ho rispettato l'enfasi in grassetto sul testo così come riportata dal sito di provenienza)


La questione cristologica odierna
di Angelo Amato


Gesù Cristo costituisce l'identità cristiana allo stato nascente e la cristologia è la riflessione credente su questo Dna del cristianesimo. In concreto il compito della cristologia è quello di riannunciare e rimotivare oggi la fede nel mistero dell'incarnazione salvifica, espressa nel simbolo niceno-costantinopolitano del 381. (... )

Diversamente dalla teologia ortodossa, ancorata sostanzialmente alla cristologia dei Padri della Chiesa e dei primi sette concili ecumenici, e diversamente dalla teologia protestante, con l'approccio tipico della cristologia della croce, la cristologia cattolica presenta una sua originalità metodologica che ha un triplice riferimento: ascolto fondante della Sacra Scrittura, come anima di ogni discorso teologico; riferimento obbligatorio alla tradizione della Chiesa (Padri, grandi teologi, liturgia, spiritualità) e dialogo con la cultura. La cristologia cattolica, quindi, avrebbe una costante contenutistica, nel riproporre e nel rimotivare il nucleo essenziale della cristologia (incarnazione e redenzione), e una variabile metodologica, data dal dialogo con i vari contesti culturali: secolarizzazione, pluralismo religioso, postmodernità, relativismo, indifferentismo.

Se, teoricamente parlando, l'impostazione cattolica sembra la più adeguata e completa, perché compone in modo armonico le istanze di fedeltà alla tradizione della Chiesa e di adesione al testo biblico con le istanze e le sfide provenienti dalla cultura contemporanea, in realtà i risultati non sembrano del tutto soddisfacenti.

Spesso la cristologia appare riduttiva, minimalista, insufficiente, perché non accoglie il Mistero rivelato nella sua integralità. E ciò deriva da una certa concezione razionalista della fede e della rivelazione, da un umanesimo immanentista applicato a Gesù Cristo, dall'assolutizzazione arbitraria del metodo storico-critico. Insomma, non rare volte i teologi abbandonano ciò che è specificamente cristiano, come il valore definitivo e universale della rivelazione di Cristo, la sua condizione di Figlio del Dio vivo, la sua presenza reale nella Chiesa, l'universalità del suo sacrificio redentore. Si tratta di una situazione critica, di una vera e propria emergenza, non certo fisiologica, quanto piuttosto patologica, che interessa tutta la Chiesa e che necessita di una pronta terapia di risanamento.

Una ricerca debole su Gesù

Non abbiamo una valutazione negativa della ricerca storico-critica. Riconosciamo che a essa si deve una maggiore conoscenza del testo biblico e del contesto sociale e religioso della Palestina del primo secolo dell'era cristiana. Non possiamo, però, fare a meno di constatare che essa ha spesso frantumato l'immagine di Gesù in una moltitudine di interpretazioni spesso contraddittorie e non rare volte tendenti a sminuirne la portata universalmente salvifica del suo evento.

Certo, anche l'arte ci ha trasmesso una galleria ricchissima di ritratti: il Cristo trasfigurato delle icone bizantine non è il Cristo morto di Mantegna e il severo Giudice michelangiolesco della Cappella Sistina non è il Cristo umanissimo e sfigurato di Rouault. Ma in queste immagini emergeva, in fondo, una precisa identità: quella del Figlio di Dio incarnato, vero Dio e vero uomo. La creatività artistica rispettava sostanzialmente i canoni biblici, offrendo, pur nella diversità delle interpretazioni, i lineamenti essenziali per un immediato riconoscimento del volto di Cristo.

Lo stesso si dica per le grandi presentazioni letterarie di Gesù: diverse nei punti di vista, ma convergenti nelle linee di fondo. Il Cristo «epifania di Dio» di Fiodor Dostoevskij è diverso dal Cristo «figlio dell'uomo» di Miguel de Unamuno, così come il «Cristo della santa Agonia» di Georges Bernanos non coincide con il Cristo «rivoluzionario dell'amore» di Giovanni Papini o con «l’eterno compagno dell'uomo» del Shusaku Endo. Narrazioni letterarie differenti, ma lo stesso Cristo della tradizione biblica ed ecclesiale.

La contemporanea ricerca sul Gesù storico, invece, sembra aver smarrito il volto autentico del Signore, riducendolo a una oscura figura del passato, del quale niente si potrebbe affermare con certezza, se non che fu, al massimo, un moralista, un rivoluzionario o un predicatore. Diversamente da tutti gli altri grandi personaggi dell'antichità - Buddha, Socrate, Confucio, Giulio Cesare e così via - dei quali non si contesta quasi niente, nei confronti di Gesù c'è un vero e proprio accanimento investigativo, che spesso giunge, se non a negarne la stessa esistenza storica, certamente a dissolverne il significato e il valore, gettando l'ombra del dubbio su tutto quanto egli ha detto e fatto e che la Chiesa ha trasmesso e vissuto con fedeltà nel suoi duemila anni di esistenza. È una vera e propria galleria del falso, in cui Gesù si perde in un groviglio di miti e leggende, in base a millantate scoperte di nuove fonti o di sconvolgenti interpretazioni finalmente «vere» del fondatore del Cristianesimo.

Concordiamo con quanto Klaus Berger, docente di teologia del Nuovo Testamento nella facoltà di teologia evangelica dell'università di Heidelberg e uno dei più noti esegeti di lingua tedesca, afferma nel suo recente libro dedicato a Gesù:
“Alcuni studiosi hanno ricavato la loro immagine di Gesù esclusivamente da una parte dei primi tre vangeli - quelli di Matteo, Luca, Marco - senza prendere atto del vangelo di Giovanni. Hanno poi contestato l'autenticità di molte altre parole di Gesù. Senza tanti indugi hanno dichiarato leggenda testi che avrebbero potuto mettere in imbarazzo gli illuminati contemporanei, attribuendo alla comunità formatasi dopo la Pasqua la responsabilità del fatto che Gesù sia diventato una specie di Dio. Questo ha ridimensionato Gesù - lo ha reso una persona qualunque, che ha detto e fatto meno di quanto riporta il Nuovo Testamento. I racconti su Gesù vennero privati del loro sale, diventando insulsi e scipiti. E la stessa persona di Gesù si rimpicciolì» (Gesù, Brescia, Queriniana, 2006, pagine 9-10). Questa riduzione ermeneutica di Gesù finisce per spegnere ogni interesse per lui e per i suoi ideali. È stato ridotto a ombra colui che si è definito luce del mondo. Come si può seguire e amare un tale fantasma?

Una storia da conoscere

Tutto ciò, però, non è una novità. Per gli studiosi della ricerca storica su Gesù si tratta di un film già visto. Oggi, infatti, sembra essere ritornati agli inizi della Leben-Jesu-Forschung del secolo XVIII-XIX, quando, in piena euforia razionalistica, Hermann Samuel Reimarus († 1768) rigettò come fraudolenta l’immagine neotestamentaria di Gesù, morto e risorto, vero Dio e vero uomo.

Ebbe così inizio il cosiddetto “ritorno all’autentico Gesù della storia”, con le numerose vite razionalistiche soprattutto protestanti, come quella, a esempio, di Heinrich E.G.Paulus, che accetta i miracoli di Gesù, ma spiegandoli in modo razionale: le guarigioni miracolose sarebbero dovute alla semplice forza psicologica di Gesù. Alle vite razionalistiche fecero seguito quelle fantastiche, in cui non la ragione ma la fantasia era la chiave interpretativa di Gesù: si inventano personaggi, si narrano episodi mai registrati dai vangeli – Gesù che piange per la morte di Socrate-, si preferiscono gli apocrifi ai vangeli canonici. Queste vite fantastiche, a esempio, spiegano i miracoli ricorrendo alla Reiseapotheke – una specie di farmacia da viaggio – che Gesù portava sempre con sé. A ciò fece seguito l’interpretazione mitica di David Friedrich Strauss, quella scettica di Bruno Bauer – che negò la stessa esistenza storica di Gesù – quella estetica di Ernst Renan, quella liberale di Adolf von Harnack, quella modernista di Alfred Loisy.

In questo caleidoscopio interpretativo, c’era una precomprensione di fondo: il rifiuto aprioristico del soprannaturale, il dubbio metodico sulla validità testimoniale delle fonti neotestamentarie e il riconoscimento solo del messaggio moralistico di Gesù. L’odierna pubblicistica – film, documentari, romanzi, pubblicazioni di nuovi apocrifi, il Jesus Seminar – sembra riproporre lo stesso clima creato dalla teoria della frode di Reimarus, che riteneva il cristianesimo frutto dell’inganno dei primi discepoli. Ritorna, quindi, di attualità il giudizio del famoso studioso protestante Joachim Jeremias, grande interprete del Nuovo Testamento, che nel 1973 definì tale teoria “stolta e dilettantistica”.

Vangeli come “biografia”

Fortunatamente, altri approcci non ideologici hanno tolto la figura di Cristo dal vicolo cieco del pregiudizio razionalistico e del minimalismo storico, per immetterla sulla strada maestra della ricerca scientifica più solida e non condizionata aprioristicamente. Si tratta di un secolo di sviluppi originali e positivi, che hanno dato risultati convincenti.

Infatti, al razionalismo liberale si opposero con tutta la forza della loro competenza e del loro prestigio gli esponenti della cosiddetta teologia dialettica, che, con Rudolf Bultmann, più che puntare sul Gesù della storia fecero leva sul Cristo del kèrygma. Volendo, però, riconoscere anche il dato storico, sono stati numerosi gli studiosi tra i quali il già citato Jeremias ma anche Ernst Käsemann, Günther Bornkamm, Heinz Conzelmann che rivalutarono in modo sostanziale il Gesù della storia come importante per la fede, dal momento che la comunità cristiana primitiva non intendeva far sfumare nel mito la storia e la persona del suo maestro.

In questa linea di rivalutazione della affidabilità storica dei Vangeli, si inseriscono studiosi come Charles Harold Dodd. con la sua insuperabile analisi dei fondamenti storici del quarto vangelo; gli esponenti della scuola scandinava, con il loro studio sui mezzi e i controlli della trasmissione della tradizione orale e scritta ai tempi di Gesù.

La fase più recente di questa questione, chiamata Third quest dopo la prima razionalistica e la seconda bultmanniana e postbultmanniana -sottolinea, su ineccepibili basi archeologiche, papirologiche e storico-documentarie come la valorizzazione di nuove fonti non fittizie ma autentiche: Qumran, Nag Hammadi, letteratura intertestamentaria ed ellenistica - la validità storica dei Vangeli, offrendo al riguardo una adeguata criteriologia. In questa linea si pone l'ottimo volume Gesù, la risposta agli enigmi di Armand Puig I Tàrrech (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007).

A tutto ciò si deve aggiungere anche una nutrita schiera di studiosi. che, lavorando sulla letteratura comparata, hanno dato anche una risposta convincente alla vexata quaestio se i Vangeli ci consegnino una vita di Gesù o siano semplicemente frutto dell'esperienza religiosa della prima comunità cristiana. Purtroppo, un atteggiamento scettico, da parte sia della letteratura accademica sia della formazione catechistica, tende a sottovalutare o a rifiutare del tutto la finalità biografica dei Vangeli.

In realtà, a cominciare da Clyde Weber Votaw, che poneva i Vangeli nell'ambito della letteratura biografica greco-romana, e proseguendo con Graham N. Stanton, Charles H. Talbert, Philip Shuler (che motiva il carattere biografico del Vangelo di Matteo), Hubert Cancik (che mostra la struttura storiografica di Marco), e Klaus Berger, si arriva alla sintesi di Richard Burridge, che, mediante la sua analisi comparata delle biografie ellenistiche greco-romane, incluso il Mosè di Filone d'Alessandria, riafferma il carattere biografico dei Vangeli.

Burridge mostra come il vero genere letterario dei Vangeli sia il bìos. Come le biografie del tempo (bìoi), infatti, anche i Vangeli hanno una lunghezza relativamente breve; hanno un solo protagonista (Gesù Cristo, e lui solo; gli altri, inclusa sua madre o lo stesso Pietro, hanno spazio minimo); si concentrano, diversamente dalle moderne biografie, sul periodo più significativo del personaggio biografato: nel nostro caso sul ministero pubblico di Gesù e sul mistero pasquale, con un breve accenno alla sua nascita.

Possiamo allora riassumere i risultati più attendibili della ricerca sulla vita di Gesù in tre affermazioni. I dati scientificamente più accreditati sono concordi nel testimoniare la validità storica dei Vangeli. Gli studiosi rivalutano anche l'affidabilità storica del Vangelo di Giovanni, rilevando la sua grande aderenza socio-culturale, con i suoi numerosi topoi, oggi archeologicamente confermati. Uno studio spassionato, privo di pregiudizi razionalistici, porta a concludere che i Vangeli fanno parte del genere letterario bìos: ciò significa che le narrazioni evangeliche sono altamente interessate a riportare le gesta di Gesù più che a testimoniare solo la fede dei primi cristiani.

I Vangeli si concentrano sulla persona, sul messaggio, sugli atteggiamenti, sulle opere di Gesù, insomma sulla sua vita nel suo momento più decisivo. L'esperienza cristiana, invece, ci è stata trasmessa soprattutto dal resto del Nuovo Testamento, dagli Atti degli Apostoli, dalle diverse Lettere, dall’Apocalisse. La Chiesa antica non avrebbe prodotto i Vangeli come bìoi se non fosse stata interessata alla persona di Gesù. Il fatto che gli evangelisti abbiano scelto di esprimersi mediante il genere letterario Vangelo, indica che c’è una concreta esistenza storica alla radice della loro testimonianza: se la carne – conclude Burridge – fosse stata irrilevante per l’evangelista o se il rivelatore non avesse assunto in nessun modo una piena esistenza umana, perché l’evangelista avrebbe scritto un Vangelo? Validità storica dei Vangeli e loro qualità biografica restituiscono alla teologia una base insostituibile per la sua elaborazione cristologica. (...)

Armonia tra storia e fede

Il volume Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger si inserisce in questo contesto. Seguendo la ruota del tempo, si pone nello sviluppo più armonico della ricerca storico-critica contemporanea. Il volume contiene due importanti premesse per lo studio della cristologia cattolica: una premessa metodologica e una contenutistica.
Metodologicamente parlando, il Papa segue la linea interpretativa che riconosce sia il valore storico-documentario e biografico delle fonti bibliche sia l’armonia tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, individuando, inoltre, una cristologia prepasquale, testimoniata durante la sua esistenza terrena dallo stesso Gesù.

Una preparazione a questo volume il Santo Padre l’aveva fornita in Unterwegs Zu Christus (2003), in cui l’allora cardinale Ratzinger lamentava tre limiti nella cristologia contemporanea. Anzitutto una inquietante decristologizzazione che riduce Gesù a semplice personaggio umanitario piuttosto accomodante, che nulla esige e tutto approva. In secondo luogo, il rifiuto della presenza del soprannaturale nella storia che conduce a una interpretazione sedicente scientifica, ma in realtà ideologica, della sua figura. In terzo luogo, una malintesa attualizzazione che diventa criterio arbitrario di individuazione dell’autenticità o meno delle parole e della azioni di Gesù, tralasciando elementi centrali del mistero di Cristo per evidenziare solo quanto si presuppone sia attuale. (...)

In Gesù di Nazaret, il Papa rilegge la “storia” nella sua completezza e cioè nella sua duplice valenza di avvenimento spazio-temporale (Historie) e di evento salvifico (Geschichte). (...) L’originalità del cristianesimo risiede proprio nell’affermazione che la storia umana ha ospitato l’evento Cristo, dono di amore del Padre a tutta l’umanità, il Verbo fatto carne da adorare, il Redentore da amare, il Giudice escatologico da temere. Con ciò si afferma che la globalità del suo evento e ogni singolo suo “mistero” è storia di salvezza di Dio Trinità per l’uomo.

In Cristo, la storia umana è diventata evento salvifico. Non quindi sola fides, perché fides sine historia è infondata. Né, tanto meno, sola historia, perché historia sine fide è insufficiente per cogliere la verità del dono di Dio in Cristo. Pertanto historia et fides sono inscindibilmente unite e costituiscono i pilastri della verità del Cristianesimo, che è salvezza nella storia e nella fede. (...)

La seconda premessa, quella contenutistica, costituisce il motivo dominante dell’opera ed è la presentazione di Gesù come il nuovo Mosè profetizzato dalle Scritture. (...) Benedetto XVI vede realizzata in Gesù, pienamente e senza limiti, la promessa del nuovo profeta e del mediatore della nuova alleanza. È questa la chiave per la retta comprensione di Gesù, il cui insegnamento con autorità non proviene da un apprendistato umano ricevuto in una scuola, quanto piuttosto dall’immediato contatto con il Padre, che egli vede faccia a faccia e del quale è la Parola: “La dimensione cristologica, cioè il mistero del Figlio come rivelatore del Padre, la “cristologia” è presente in tutti i discorsi e in tutte le azioni di Gesù”. (...)

Una correzione di rotta

Se si è dato grande spazio al volume di Benedetto XVI, lo si è fatto nella precisa convinzione che l’opera costituisca un vero turning point della cristologia cattolica contemporanea e, di conseguenza, un importante indicatore nella ricerca, nell’insegnamento e nella catechesi. Il Gesù di Nazaret ratzingeriano è quello consegnatoci dalla tradizione bimillenaria della Chiesa, non come frutto della creatività della comunità cristiana primitiva, né come riduttiva ricostruzione virtuale della ricerca storico-critica contemporanea, ma come manifestazione autentica e veritiera della persona, delle parole, degli atteggiamenti e delle opere di Gesù di Nazaret. La comunità cristiana non ha inventato, sfigurato o trasfigurato Gesù di Nazaret. Lo ha semplicemente testimoniato e coerentemente annunciato. Per questo il volume del Papa da solo contiene implicitamente un insieme di orientamenti contenutistici e bibliografici non solo per un aggiornamento di nozioni, ma soprattutto per una significativa correzione di rotta dell’odierna navigazione della cristologia cattolica.


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