Studi sul Cristianesimo Primitivo

Dal Vangelo di Tommaso, il concetto di sentirsi psicologicamente "ben disposti"?

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askerella
view post Posted on 1/8/2016, 20:28     +1   -1




Dal Vangelo di Tommaso
Il concetto di sentirsi psicologicamente "ben disposti"?


Una domanda per gli esperti in lingue antiche: greco, copto, ebraico, varie ed eventuali.

Leggendo il Vangelo di Tommaso (apocrifo) la mia attenzione è stata attirata (anche) dal detto numero 6.

Riporto un paio di traduzioni (non so di chi siano perché in rete "spacciano" pdf in cui non si indicano i traduttori e fatico a risalirvi) :

"I suoi discepoli gli chiesero e dissero:
"Vuoi che digiuniamo? Come dobbiamo pregare? Dobbiamo fare elemosine? Quale dieta dobbiamo osservare?"
Gesù disse:
"Non mentite, e non fate ciò che odiate, perché ogni cosa è manifesta in cielo. Alla fine, nulla di quanto è nascosto non sarà rivelato, e nulla di quanto è celato resterà nascosto."

"I suoi discepoli lo interrogarono e gli chiesero:
"vuoi tu che digiuniamo, in che modo pregheremo, come faremo l'elemosina e quali regole seguiremo riguardo ai cibi?"
Gesù rispose:
"Non dite sciocchezze e ciò che non vi sentite di fare, non lo fate, perché tutto si svela di fronte al cielo. Non vi è nulla di nascosto che, in verità, non venga alla luce, alla lunga non possa apparire".

(neretto mio)

Le mie domande per gli esperti:

1) nell'originale copto di Tommaso la traduzione più fedele, qual è?
(tra le due in neretto)

[Dal seguente topic https://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=38454920 capisco che la maggior porzione del VdT ci è pervenuta in copto, e solo una piccola parte, più antica, in greco. Non ho idea se il detto Numero 6 ce l'abbiamo nelle due lingue oppure no]

2) in generale, nelle lingue antiche, si possono trovare espressioni che designano l'attuale e moderna definizione di una condizione psicologica-spirituale-mentale "sentirsi ben disposti", "avere voglia di" / "non avere voglia di", "sentirsi di fare" / "non sentirsi di fare" ?
Si può ravvisare la definizione linguistica/culturale di questa condizione "esistenziale" nelle lingue antiche?
Oppure la cosiddetta disposizione d'animo è un concetto molto posteriore alle culture di quei parlanti?
(solitamente se esiste un'espressione linguistica c'è il soggiacente sentiment culturale dal quale proviene. Più difficile, secondo me, che nelle lingue antiche avvenga il contrario - cioè che s'imponga un modello antropologico culturale a partire da una "propaganda" linguistica).

Troverei interessante soprattutto un raffronto tra ebraico/aramaico e greco, se qualcuno è in grado di farlo. Anche latino, dato che ci sono.

Grazie.

P.s. questo mio quesito naïf rimanda ovviamente ad argomento molto più elevato filosoficamente, e molto ampiamente trattato a diversi livelli e discipline, ma in questo topic vorrei rimanere ai livelli psicolinguistici embrionali. Cioè ad una questione linguistica molto circoscritta: ci sono oppure non ci sono certe espressioni in certe lingue antiche ? E queste espressioni vogliono intendere quello che intendiamo oggi ?
 
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Hard-Rain
view post Posted on 2/8/2016, 09:56     +1   -1




Non riesco a rispondere al punto 1 in quanto il corrispondente frammento Greco è troppo corrotto. Bisogna intedersi della versione copta (e io non ne so molto).

Per il punto 2 mi pare proprio che ci siano le espressioni di cui parli, perchè non dovrebbero esserci? In Greco antico sicuro, ma in generale ci sono anche trattati e opere che parlano di queste cose, mi viene in mente Plutarco piuttosto che Epitteto (reso da Arriano), ma anche altri, che parlano dello stare bene psicologicamente e non solo economicamente o politicamente.
 
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askerella
view post Posted on 2/8/2016, 17:22     +1   -1




Ciao, grazie per la risposta.

CITAZIONE
Per il punto 2 mi pare proprio che ci siano le espressioni di cui parli, perchè non dovrebbero esserci?

Specifico meglio la mia domanda.

Presumo che in TUTTE le lingue, antiche e moderne, si trovino espressioni che indicano benessere psicologico/mentale o morale.
Queste espressioni faranno riferimento a condizioni del tipo: essere sereni, stare bene (mentalmente o spiritualmente che dir si voglia), trovarsi in uno stato di benessere psicofisico, oppure solo psichico. Insomma: "essere felici&contenti" (anche distintamente, come giustamente osservi, dalle condizioni sociali, politiche, economiche).
In questo senso si leggeranno nella letteratura antica (dunque nelle lingue antiche) espressioni di diverso tipo che indicano benessere psicologico oppure i metodi per raggiungerlo, ad esempio: se l'uomo vorrà essere felice-contento dovrà fare così e cosà. (e qui penso a tutta la filosofia).
Ok. Ma io non intendevo questo.

Intendevo più specificamente espressioni linguistiche , o contesti, come:
"sentirsi di (fare)", "non sentirsi di (fare)", "avere voglia di (fare)", "non avere voglia di (fare)".
Mi viene in mente che nei racconti antichi si trovano sempre personaggi che per precisi motivi (motivi sempre evidenziati, fossero anche il banale "essere buoni o cattivi") fanno oppure non fanno una certa azione.
Mentre non mi viene in mente (ignoranza mia) se ci sono casi in cui un personaggio fa (o non fa) un'azione per il motivo che "ne aveva voglia" oppure "non ne aveva voglia".

Ora: questa è una precisa condizione umana.
Una precisa condizione psicologica.
Non è relativa al fatto che un'azione sia giusta o sbagliata in sè: è solo relativa alla disposizione mentale del soggetto.

Perciò chiedevo , nella domanda (1), anche la traduzione più fedele del testo: una cosa è odiare/detestare/non amare - cioè alla fin fine significa che si ritiene sbagliata un'azione e quindi non la si fa.

Altra cosa è ritenere giusta/buona un'azione e ugualmente non farla.
Motivo: non "ci si sente" di farla, non si è "dell'umore giusto", non "si ha voglia".
(Anzi ecco qua: potrei fare anche una ricerchina sul quando e in quale lingua nasce l'espressione "essere dell'umore giusto").

Pensando alla letteratura antica, religiosa e non, tale situazione si potrebbe verificare in due contesti:

- normale vita quotidiana o vita di grandi eroi. esempio: tale personaggio doveva fare una cosa, ma poi "non ne ebbe voglia", "non si sentì di farla", "non era dell'umore adatto". (Mi vien da ridere... esiste per caso un qualche condottiero che doveva fare una grande impresa ma rimandò al giorno dopo "perché non ne aveva voglia" ? Oppure uno che doveva raggiungere l'amante, ma "non oggi perché non sono dell'umore" ?)

- adempimenti religiosi: situazione in cui l'uomo conosce i riti, le azioni devozionali da farsi (e le ritiene buone&giuste) ma si verifica la condizione (umana) di non sentirsi psicologicamente o spiritualmente "aderente".
E qui torniamo al vangelo di Tommaso: mi sembrava di capire che il detto numero 6 volesse evidenziare tale condizione.

Nota. Per inquadrare ulteriormente il discorso, si può anche dire che - più o meno espliciti - ci sono due grandi filoni spirituali al riguardo: eseguire direttamente la pratica religiosa senza tante autoanalisi, oppure attendere che PRIMA si verifichi una tensione spirituale, un impulso "del cuore".
Si presume cioè in quest'ultimo caso una sorta di percorso preventivo che deve fare l'uomo: individuare e/o coltivare in sè stesso un determinato valore umano, un'espressione di umanità che parte da lui, un'impulso di libertà.
Il primo filone punterebbe invece più alla pratica acritica per raggiungere dal senso opposto determinate condizioni spirituali.
Da questi due filoni nascono intere teologie, religioni, o fratture dottrinali nelle religioni.
Ma comunque in questo topic volevo solo individuare delle semplici espressioni linguistiche, se c'erano.

La cosa più interessante sarebbe poi il raffronto, qualitativo e quantitativo, tra ebraico-aramaico e greco-latino.
 
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Hard-Rain
view post Posted on 2/8/2016, 17:59     +1   -1




Allora, se parliamo di greco, vi sono due verbi di frequentissimo utilizzo (l'abc di questa lingua) che sono θελω e Βουλομαι, descrivono l'azione del "volere", "desiderare", "augurarsi di fare q.cosa".

"Voglia" nel senso che intendi tu è ad esempio επιθυμια e vi sono varie frasi che utilizzano questa parola per dire "aver voglia di fare q.cosa".

Il greco è una lingua che ha tantissime sfumature e ad esempio per esprimere il desiderio di qualche cibo o bevanda si usa piuttosto θυμος.

Questi verbi e/o espressioni negate ovviamente svolgono la funzione opposta, "non volere fare ....", "non desiderare fare" ecc...

Quanto agli "esempi", uno banalissimo si trova in Matteo 21,29 dove il personaggio dice: "non ho voglia" (in greco: ου θελω). Nota che qui "non ha voglia" non perchè ritiene ingiusto ciò che è stato chiesto bensì perchè proprio "gli secca fare quella cosa", tanto è vero che dopo ci ripensa e la fa, quindi non la ritiene moralmente ingiusta.
 
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askerella
view post Posted on 3/8/2016, 18:43     +1   -1




Ah ecco, motivo in più per rileggermi integralmente i vangeli: non mi ricordavo che in quell'episodio il personaggio dicesse "non ne ho voglia".
(Avrei detto che dicesse: "no, non ci vado").

Quindi: che bellezza! ^_^ In greco antico ci sono perfino le sfumature sul tema.
Beata ignoranza (mia).
Che fosse una lingua ricchissima lo sapevo. Classico esempio di studio è la distinzione terminologica delle tipologie di amore, almeno quella la so.

Dunque, ragionando terra-terra, nel mondo greco si poteva umanamente "avere o non avere voglia" di fare qualcosa....
Trasportato nelle faccende religiose: praticamente i greci erano già culturalmente pronti a fare una distinzione tra una fede sincera che procedeva dall'interiorità e una fede esteriore, sterile, inutile.
(non dico che "aver voglia/non aver voglia" denoti necessariamente una fede sincera, ma solo che in Greco viene registrato lo spirito, l'atteggiamento con cui una persona agisce).

Riassumendo: nella letteratura greca, religiosa e non, l'espressione della "disposizione d'animo" esiste ampiamente.

Faccio ora una banale e parzialissima (in tutti i sensi) analisi di questo pallino che mi aveva preso:

Allora.
Negli scritti religiosi cristiani.
Già in Matteo si registra un passo: l'evangelista ci dice che si può "non avere voglia" ma poi "pentirsi" ed andare a fare la cosa giusta. Non ci dice però se al personaggio gli è venuta la voglia oppure se ha agito bene ma controvoglia. Fatto sta che il personaggio positivo è quello che FA l'azione giusta - voglia o non voglia.
Nel Vangelo di Tommaso sembrerebbe esserci uno spunto per una fase successiva (di fede e filosofica): lo spirito interiore soggettivo deve corrispondere all'azione esteriore, altrimenti - ci dicono quegli autori - non è una gran merito agire solo per apparenza esterna.
Questo concetto potrebbe in parte anche essere ricondotto alle ideologie gnostiche... però , secondo me, limitatamente a quel detto, questa ideale congruenza auspicata tra corpo e mente è un bel concetto pienamente cristiano.


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Domande possibili successive:
- come si tradurrebbe in ebraico/aramaico antico quel "non ne ho voglia" di Matteo?
- avrebbe la stessa valenza, lo stesso significato come in Greco?
- esistono esempi nella Bibbia o nel Talmud per poter fare dei raffronti?
- in ebraico antico o in aramaico medio esiste la stessa ricchezza e tutte le sfumature greche per esprimere quella condizione mentale/spirituale?


Se qualcuno vuole aggiungere informazioni, grazie.

Io aggiungo un passaggio dal Libro di Ester.
Non ci dice niente dell'aderenza mente-corpo nell'osservanza religiosa, ma ci parla solo del livello della vita quotidiana - nella fattispecie ci racconta della voglia, o non voglia, di bere vino.

Cei 2008
Testo greco
Ester 1, 7-8
Per bere c’erano coppe d’oro e d’argento, come pure un piccolo calice di turchese, del valore di trentamila talenti. Il vino era abbondante e dolce e lo stesso re ne beveva. Si poteva bere senza limiti: così infatti aveva voluto il re, ordinando ai camerieri di soddisfare il desiderio suo e degli altri.

Cei 2008
Testo ebraico
Ester 1, 7-8
Si porgeva da bere in vasi d’oro di forme svariate e il vino del re era abbondante, grazie alla liberalità del re. Vi era l’ordine di non forzare alcuno a bere, poiché il re aveva prescritto a tutti i maggiordomi che lasciassero fare a ciascuno secondo la propria volontà.

In questo caso è il testo ebraico a presentare in modo più evidente un riferimento alle predisposizioni personali, anche se non c'è un'espressione specifica.
(o meglio: così mi sembra dalla traduzione).
È solo il contesto a suggerire che si può "avere/non avere voglia" di bere vino.
Il riferimento alla "volontà" rimanda piuttosto ad una decisione del soggetto, e non esplicitamente ad un'esigenza psicofisica personale.

Grazie Hard Rain :)
Se ti viene in mente dell'altro... postalo che io studio ;)
 
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