Risposte a Sant’Atanasio
Sulla lettura adamica di Fil 2,6-11 CITAZIONE
La cristologia di Paolo è tutta incentrata sulla natura salvifica del sacrificio di Cristo, e dubito serissimamente che Paolo considerasse una creatura, non importa quanto sovraeminente e pura rispetto alle altre, in grado di lavare i peccati del mondo e salvare l'umanità.
Pertanto mi sento di non sottoscrivere per nulla la tesi di Dunn.
…
pensare che Paolo e gli apostoli ritenessero concepibile una redenzione universale ad opera di una creatura mi pare alquanto bizzarro, e i passi di Colossesi e di Filippesi (che ripeto, a questo punto diventano davvero difficili da leggere nell'ottica della cristologia senza preesistenza) lo testimoniano.
1 . Se stiamo ragionando su Fil 2,6-11 in quanto inno pre-paolino (e ci sono buone ragioni per ritenere che lo sia), allora non ce ne può fregare di meno della cristologia e della soteriologia di Paolo. Fil 2,6-11 potrebbe benissimo essere un inno composto in prospettiva adamica che Paolo avrebbe letto e aggiustato in ottica preesistenziale e incarnatoria (così Barrett). E' importante sforzarsi di discutere le cose con ordine, altrimenti non ne veniamo più fuori (questo lo dico in generale, perché tendi a mischiare troppe cose diverse, affrontandole superficialmente, e discutere in questo modo diventa decisamente oneroso e poco piacevole).
2 . Che poi per Paolo l'efficacia salvifica del sacrificio di Cristo esiga che egli non sia niente meno che Dio, è un’affermazione del tutto gratuita. Sembra quasi che tu stia leggendo Paolo avendo in testa Anselmo d’Aosta (salvo che lui deve dimostrare la necessità dell'incarnazione-espiazione, mentre tu quella che l'espiante sia Dio incarnato).
Peraltro non è nemmeno esatto che la soteriologia paolina sia incentrata sul sacrificio di Cristo, o comunque principalmente su quello. L’aspetto sacrificale è solo uno dei modi in cui Paolo pensa la salvezza attuata in Cristo, e per lo più si tratta di un aspetto che egli riprende (condividendolo) dalla tradizione (cfr. Rm 3,24-26). L’aspetto più caratteristico e originale della soteriologia paolina è invece quello “partecipazionista”, in cui la salvezza del credente è determinata non dal fatto che il sacrificio di Cristo abbia espiato i suoi peccati, ma ha a che fare con il partecipare, nella fede, alla morte e quindi alla risurrezione di Cristo da parte di Dio, attraverso cui il potere del peccato è stato infranto, inaugurando in tal modo un’umanità rinnovata (cfr. Rm 6,1-11; Gal 2,19-20; 2 Cor 5,14-21; Fil 3,7-11).
In ogni caso, anche limitandoci all’interpretazione sacrificale, è del tutto infondato affermare che la salvezza esige la divinità di Cristo. Si legga con attenzione Rm 3,23-25: “Infatti tutti hanno peccato e sono privati della gloria di Dio; sono giustificati gratuitamente con la sua grazia, mediante la redenzione in Cristo Gesù. Dio lo ha predisposto come espiazione con il suo sangue, mediante la fede, per la dimostrazione della sua giustiziza…”.
E’ evidente che in questo passo chi compie la redenzione è Dio (se non ti fidi, cfr. A. Pitta,
Lettera ai Romani, Paoline, 2001, 164: “il soggetto della redenzione, in questi versi, è sempre Dio e non Gesù Cristo”), il quale la realizza gratuitamente “in Cristo”, il quale è da Dio predisposto quale strumento di espiazione. Il testo distingue chiaramente tra Dio (che è il Padre) e Cristo, e nulla lascia intendere che l’efficacia espiatoria del sacrificio di Cristo dipenda dalla sua presunta natura divina. Tutto questo lo proietti tu gratuitamente sul testo, a partire dai tuoi pregiudizi teologici (in senso ermeneutico).
CITAZIONE
Quella lettura dell'inno di Filippesi, se non erro, è ampiamente minoritaria e meno armonica. Non spiega decentemente infatti perché Gesù dovrebbe afferrare qualcosa che non avrebbe, visto che appena prima s'è detto che l'aveva (ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων). Il brano ha senso solo se prima l'autore dice che Gesù era di condizione divina, e, ciononostante, non decise di aggrapparsi a tale stato.
Certo che è minoritaria (se ‘ampiamente’ o no, bisognerebbe verificarlo con uno spoglio della letteratura in merito), ma a non avere senso è la tua obiezione. Penso che tu non abbia letto con attenzione la mia sintesi della interpretazione di Dunn. Rileggila e capirai che per Dunn “nella forma di Dio” è equivalente di “a immagine di Dio”* (da qui appunto la lettura adamica), e che quello che Gesù non aveva e che non volle usurpare non era ovviamente l’essere “en morphē theou” bensì l’essere “isa theō”, “come Dio”, ovvero la tentazione del serpente a cui cedettero i progenitori.
*P.S. che μορφή e εἰκών siano effettivamente pressoché sinonimi e interscambiabili non è universalmente accettato, ma è comunque oggetto di significativo consenso, come testimonia il fatto che tale equivalenza sia affermata anche nelle note della nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme, che cito:
“Il significato di questo termine [morphē] è pressoché identico a quello di ‘immagine’ (eikōn); ‘forma’ e ‘immagine’ sono utilizzati nella LXX in modo interscambiabile: la ‘forma di Dio’ è dunque sinonimo di ‘immagine di Dio’, che è il qualificativo attribuito ad Adamo (Gen 1,27; 1 Cor 11,7) e Cristo (2 Cor 4,4)”.
Se sia possibile intendere At 3,15 come affermazione che Gesù è Dio creatore della vitaCITAZIONE
Faccio inoltre presente che negli Atti degli Apostoli abbiamo un discorso di Pietro (ragguagliatemi, per piacere, sulla storicità di tale discorso, se potete
) che sembra un modello perfetto di Cristologia dell'esaltazione [Atti 2,32-36]
Questo passo sembra un modello perfetto per una cristologia "umana, troppo umana", eppure, in Atti 3:15, Pietro dice che "avete ucciso l'autore della vita", che è forse l'attestazione più importante e "chiara" della considerazione della divinità di Cristo, ancora più dell'inno di Filippesi, Colossesi, e persino del Prologo Giovanneo, visto che Dio e solo Dio è l'autore della vita, e non ci sono ambiguità in questo.
Non fraintendermi, so che Atti è tardivo quasi quanto il Vangelo di Giovanni, era per dire che anche di fronte a cristologie che sembrano tutto meno che divine in realtà vi troviamo sorprese come quella di Atti 3:15.
Mi sa che corri troppo... accertati prima di non correre invano! (Gal 2,2)
Qui è opportuno enunciare una basilare regola pratica per chiunque voglia occuparsi di esegesi: “Quando una cosa appare troppo bella per essere vera, e sembra incredibile che nessuno ci abbia mai fatto caso, molto probabilmente stiamo sbagliando qualcosa ed è bene dare prima una controllatina ai commentari”.
Se l’avessi fatto, ti saresti reso conto da solo che la tua intuizione è completamente fuori strada, perché il senso di
archēgos tēs zōēs è “guida alla vita”, dove la vita è da intendersi escatologicamente, con particolare riferimento alla risurrezione dei morti, di cui Gesù è appunto il “pioniere”.
Per questa volta ti risparmio il lavoro:
J. Fitzmyer,
Atti degli Apostoli, Brescia, Queriniana, 2003, p. 276: “Non è facile tradurre
archēgos tēs zōēs. Fondamentalmente,
archēgos significa ‘battistrada, pioniere’… Qui deve voler dire qualcosa come ‘fautore originario, autore’. Il titolo tornerà in 5,31; cfr. Eb 2,10; 12,2. In 26,23 Luca identificherà il Cristo come ‘il primo risorto dai morti’ e quell’espressione spiega il titolo usato qui.
R. Pervo,
Acts, Hermeneia, Minneapolis, Fortress, 2009, p. 105: “The word
archēgos (‘the one who opens the way to life’) comes from the world of Hellenism, which had a great interest in founders, inventors, discoverers and origins of all sorts. Luke does not wish to ascribe to Jesus the ‘invention’ of (genuine) life. For him, the meaning may be that Jesus is leader by virtue of his standing as the first to rise from the dead”.
C.K. Barrett,
Acts 1-14, ICC, Edinburgh, T&T Clark, 1994: "In Acts 5.31 the sense of founder and protector (
sōtēr) is probably best. and this also fits the contrasting structure of the present verse: him who was bringing life into the world, and thereby establishing a new age, or reign, you put to death. If the word is taken to mean leader,
tēs zōēs must be taken as a genitive of direction. not of object: he was not a leader of life but one who led the way to life.
R. Pesch,
Atti degli Apostoli, Assisi, Cittadella, 1992, p. 191: “L’affermazione relativa all’uccisione di Gesù… è inasprita dal titolo di contrasto ‘guida’ (cfr. At 5,31; Eb 2,10; 12,2) ‘alla vita’: è stato ucciso colui che può portare fuori dalla morte. Ma Dio, mediante la sua risurrezione, gli ha restituito il diritto al suo ufficio e lo ha ‘glorificato’”.
J. Zmijewski,
Atti degli Apostoli, Brescia, Morcelliana, 2006, p. 255: “L’accusa raggiunge il suo apice in una ulteriore contrapposizione: i Giudei hanno ucciso la ‘guida alla vita’. Invece di seguire Gesù, il quale – come ‘guida (
archegos) alla vita’ – era stato chiamato a fondare, rappresentare e comunicare la vita (cioè la salvezza eterna) … il popolo giudaico lo ha ucciso e ha commesso il crimine peggiore, quello di sprecare la vita. Che Gesù fosse stato chiamato da Dio ad essere ‘guida della vita’, lo dimostra chiaramente la sua risurrezione: ‘Dio lo ha risuscitato dai morti’”.
Vedi inoltre sua divinità L. Hurtado,
Signore Gesù Cristo. Tomo 1, Brescia, Paideia, 2006, p. 192: “
Archēgos (guida, fondatore, artefice) è documentato nel NT esclusivamente come titolo cristologico, e soltanto in Atti 3,15 (‘autore/guida alla vita’); 5,31 (‘guida e salvatore’) ed Ebr. 2,10 (‘pioniere/guida della salvezza’); 12,2 (pioniere e perfezionatore della nostra fede)…. Müller sostiene, probabilmente a ragione, che nell’uso neotestamentario del termine Gesù viene definito ‘guida escatologica del nuovo popolo di Dio’, dove il tema biblico di Israele fatto uscire (per mano di Dio) dall’Egitto è qui ‘trasposto in titolo cristologico’”.
Quanto invece alla “storicità” dei discorsi di Pietro (e Paolo) negli Atti, naturalmente è poco probabile che siano storici. Sono verosimilmente discorsi che Luca compone a partire da materiale tradizionale (eventualmente, se necessario, spiegheremo le ragioni di tale giudizio).
Sull’ “Ho tutto in testa, ma non riesco a dirlo” (Afterhours)
CITAZIONE
Ribadisco che per me la questione era meramente descrittiva e dovuta alla mancanza di categorie adatte per spiegare il mistero col quale erano venuti a contatto, ma le "basi" c'erano tutte.
Detto prosaicamente: non credo che coll'andare del tempo ci si sia "inventati" qualcosa, ma che si sia sviscerato sempre più e meglio il mistero col quale si era venuti a contatto.
E il problema descrittivo, come vediamo in Atti, c'era ed era pressante. Se, infatti, come dice anche Plinio il Giovane nella sua lettera all'imperatore Traiano, i cristiani cantavano lodi a Cristo "come a un Dio", è altrettanto vero che per loro Cristo non era il Padre. Allo stesso tempo, però, non era un "deuteros theos", un secondo Dio, perché si sarebbe ricaduti nel politeismo.
Penso che fosse questo il vero problema, come poter descrivere tutto ciò, e all'epoca erano sprovvisti di categorie adeguate.
L’argomento “gli apostoli avevano già chiaramente in testa la cristologia del quarto vangelo, solo che non riuscivano ad esprimerlo”, è un argomento straordinariamente debole e infalsificabile, essendoci purtroppo precluso l’accesso ai loro inesprimibili pensieri.
Tutto quello che abbiamo sono i testi e certe tradizioni anteriori che, quando siamo fortunati, è possibile isolare. E i testi vanno letti per quello che dicono, certamente tenendo conto del loro possibile background culturale (ad es. le idee giudaiche sulla Sapienza relativamente a 1 Cor 8,6 e Col 1,15-20, o le allusioni intertestuali alla storia di Adamo per Fil 2,6-11 etc.), ma MAI leggendoli alla luce di cristologie manifestamente differenti e, a maggior ragione, successive.
Ovvero: se leggiamo Rm 1,3-4, non forzeremo il testo ficcandoci dentro Col 1,15-20, e se leggiamo Fil 2,6-10 non cercheremo di infilarci il prologo giovanneo.
Voler vedere a forza la cristologia del Quarto Vangelo dentro quella dell’esaltazione, risponde semplicemente ad un’esigenza apologetica. E’ un modo inaccettabile di fare esegesi, e – per quel che vale – è anche un modo scadente di fare teologia, perché confonde ed elimina la pluralità di voci differenti che costituiscono la Rivelazione, trasformando una sinfonia nella “canzone mono-nota” di Elio.
Sulla presunta cristologia “umana, troppo umana”
CITAZIONE
francamente dubito che un inno come quello di Filippesi, dei primi anni 40, sia potuto sorgere dal nulla a partire da una cristologia del tutto umana o, al più, angelica, in soltanto 10 anni a partire dalla morte di Cristo il 7 Aprile del 30 D.C con il successivo ritrovamento del sepolcro vuoto e le esperienze di Resurrezione. Troppo, davvero troppo poco tempo, per quanto mi concerne.
…
Faccio inoltre presente che negli Atti degli Apostoli abbiamo un discorso di Pietro… (Atti 2,32-36)
Questo passo sembra un modello perfetto per una cristologia "umana, troppo umana"…
Un altro grande problema è che non sembri riuscire a capire che quella che definisci “cristologia umana, troppo umana”, cioè quella dell’esaltazione (o dei due stadi), non è affatto “bassa” e nemmeno semplicemente “umana”. Essa afferma chiaramente che Gesù sta “dalla parte di Dio” ed è Kyrios, ovvero partecipe della sovranità universale propria di Dio: solo che pensa tutto questo escatologicamente in riferimento alla risurrezione, e non (ancora) in rapporto ad una qualche forma di preesistenza, come angelo, Sapienza o Logos.
E se anche vogliamo leggere Fil 2,6-11 in ottica di preesistenza, ebbene in tale prospettiva l’inno appare chiaramente come un esempio di evoluzione iniziale dalla cristologia dell’esaltazione a quella della preesistenza. Perché è evidente, come già accennavo nella replica precedente, che l’inno è focalizzato sull’abbassamento-esaltazione, con la preesistenza appena accennata come punto di partenza del movimento di abbassamento ed esaltazione.
Un paio di citazioni, forse, potrebbero aiutarti a capire e accettare questa cosa:
“Il testo nel suo nerbo è un’espressione della cristologia a due stadi, poiché presenta la morte di Gesù come culmine di un processo drammatico di spoliazione motivata dall’obbedienza assoluta (Fil 2,7). A suo seguito si leggono le affermazioni sulla risurrezione, che è descritta come una sorta di sovraesaltazione in cui Gesù viene ad assumere la signoria di dio sul cosmo, che lo porta ad essere riconosciuto e confessato come tale da ogni creatura…. Qui la cristologia a due stadi presuppone un momento previo: quello della preesistenza, seppure questo faccia da sfondo e non costituisca il vertice concettale del brano”.
(R. Fabris – S. Romanello,
Introduzione alla lettura di Paolo, Roma, Borla, 2006, 187)
“Per determinare il centro teologico di gravità del testo è decisiva la questione della prospettiva narrativa. Muovendo da quale prospettiva l’inno si esprime riguardo al suo eroe? Non può esservi dubbio: a questo racconto soggiace l’esperienza di Gesù Cristo crocifisso, innalzato e quindi presente tramite lo Spirito di Dio come Kyrios. Di conseguenza è chiaro che questo testo non parte da nessun’altra prospettiva se non da quella della post-esistenza! L’autore muovendo dall’esperienza del Signore risorto, innalzato e operante nel presente, guarda retrospettivamente alla vita terrena di Gesù nell’umiliazione e al suo precedente essere presso Dio….
Dunque, non propriamente la pretemporalità di Gesù e quindi la sua natura divina data per presunta, ma il suo abbassamento sino alla croce e la sua elevazione a Signore e giudice del mondo!
In questo inno Gesù Cristo non è, pertanto, in primo luogo una figura divina del mondo celeste che ha assunto la forma di servo per poi risalire nuovamente in cielo, ma è prima di tutto l’uomo crocifisso e innalzato, venuto da Dio.
Anche questa affermazione sulla ‘forma divina’ di Gesù va dunque interpretata alla luce di abbassamento ed elevazione a posteriori, per così dire. Essa non sta all’inizio di una riflessione cristologica, ma alla fine di un processo interpretativo alla luce dell’Innalzato. Gli asserti sulla ‘forma divina’ di Gesù vanno capiti come ampliamento delle affermazioni su passione ed esaltazione… L’asserto sulla ‘forma divina’ designa, in certa misura, quella ‘dimensione profonda’ in cui la vita, la morte e la risurrezione di Gesù vanno viste… La pre-temporalità è qui una funzione della post-temporalità.
Una cristologia della preesistenza che riflette o addirittura specula sull’essere o sulla natura di Cristo non va riconosciuta in un inno come quello della lettera ai Filippesi… L’asserto sulla preesistenza personale è una pura funzione dell’affermazione riguardante l’abbassamento e l’elevazione, uno sfondo, o meglio, una dimensione profonda dell’evento di abbassamento ed elevazione, il cui soggetto è il Nazareno crocifisso.
Il dato quindi è sobrio; esige cautela teologica”.
(K.-J. Kuschel,
Generato prima di tutti i secoli? La controversia sull’origine di Cristo, BTC 84, Queriniana, Brescia, 1996 [ed. or. 1990], 348-349, 351, 346-347)
Ma se tu leggessi anche soltanto Hurtado per quello che Hurtado scrive davvero, senza proiettare (anche su di lui!) quello che vorresti che dicesse, ti accorgeresti che lui stesso afferma che l’idea della preesistenza nasce come espansione all’indietro della originaria prospettiva escatologica:
“la logica delle affermazioni di 1 Cor 8,6 e degli altri passi paolini in cui si allude alla preesistenza di Gesù rimandano alla tradizione giudaica, in particolare a idee apocalittiche giudaiche. L’idea della mediazione di Gesù nella creazione e nella redenzione non è motivata da interessi speculativi… La logica che vi soggiace consegue piuttosto dalle convinzioni… che si esprimono nella tradizione apocalittica giudaica, per la quale tutta la storia è sottomessa a Dio, ai cui disegni predeterminati tutto corrisponde… Questo trionfo escatologico corrisponde e adempie alla volontà creatrice di Dio, e le entità escatologiche possono così essere definite preesistenti in diversi modi.
Nei passi paolini qui indicati e anche in altri del Nuovo Testamento (ad es.Col 1,16-17; Eb 1,2; Gv 1,1-3) è evidente che
l’attribuzione a Gesù della preesistenza dipende dalla convinzione che egli sia il mediatore escatologico della redenzione. Poiché i primi credenti erano certi che Gesù fosse stato inviato da Dio e che la salvezza finale si dovesse realizzare mediante Gesù,
nella logica dell’apocalittica giudaica era solo un passo da poco e naturalissimo sostenere che egli era anche in qualche modo ‘là’ insieme a e in Dio da prima della creazione del mondo”.
(L. Hurtado,
Signore Gesù Cristo. Tomo 1, Brescia, Paideia, 132-133)
Concludendo, la cristologia dal basso è già una cristologia alta, e la cristologia della preesistenza nasce da quella della postesistenza. Riconoscere ciò non significa destituire di validità teologica (di cui noi comunque non ci occupiamo) gli sviluppi successivi, e in particolare la cristologia giovannea - se è questo che ti preme. Per due ragioni: 1) perché teologicamente è indifferente che una cristologia sia nata 5, 10, 20, 30 o 50 anni dopo Gesù, purché sia canonica; 2) perché, a livello di teologia sistematica, si può argomentare che la cristologia dell'esaltazione, pur dicendo la cosa essenziale (Gesù è il Signore) sia tuttavia sotto il profilo teoretico aporetica, "instabile", e bisognosa di ulteriore approfondimento. Un meraviglioso professore di cristologia sistematica che conosco, ad esempio, argomenta che nessuna
creatura è ontologicamente in grado di sopportare di essere intronizzata alla destra di Dio, senza 'scoppiare', per cui si può dire che già l'asserto originario della risurrezione come intronizzazione implichi necessariamente la divinità dell'intronizzato. In breve: la divinità funzionale esige quella ontologica.
Come argomento storico non vale nulla ed è falso (anche il Libro delle Parabole di Enoc conosce un "intronizzato", il Figlio dell'uomo, ma è un messia angelico, o eventualmente per il cap. 71 aggiunto in seguito è Enoc stesso - in ogni caso non è Dio), ma dal punto di vista teoretico è solido e più che apprezzabile.
Spero di trovare il tempo per rispondere a Talità
(con cui però si va via molto più lisci)
P.S. Poiché tutte le cose mi sono state date (a maggior ragione ora che sono ritornato dai morti), in virtù dell'exousia di moderatore di sezione che mi compete, dichiaro solennemente, infallibilmente e definitivamente OFF-TOPIC la questione del Figlio dell'uomo rispetto al Gesù storico.
Edited by JohannesWeiss - 17/3/2016, 08:51